– a cura del Dott. Diego Maggio, Bsc (Hons) D.O., CST-D
Ho proposto questo seminario memore dell’ispirazione che mi ha dato il Dott. John E. Upledger, quando esortava i suoi studenti a lavorare con la CranioSacral Therapy, con una frase che lui spesso soleva dire: -“Possiamo portare al mondo un tocco migliore”-.
Infatti questo seminario, pur affrontando argomenti quali: separazione, morte e perdita, vuole essere: un’Ode alla Vita.
Immagino che vi chiederete: “come è possibile fare un’ode alla vita di fronte a questi temi?”.
Posso rispondervi iniziando dal tema più ostico: la morte, che è “la perdita delle perdite”.
Noi non abbiamo conoscenza della morte, se non in modo indiretto. Allora come possiamo essere di supporto a chi sta affrontando questa esperienza?
Guardando all’evoluzione biologica della nostra specie, noi tutti abbiamo un ciclo di tempo in cui ci è data la possibilità di rivalutare e completare alcuni di quelli che consideriamo dei “cicli biologici”, che vanno a formare la mappa del nostro intero ciclo vitale, dalla nascita alla morte.
In questo nostro completo ed esclusivo ciclo di vita, molti aspetti (soprattutto emotivi, oltre che fisici) interferiscono con la naturale progressione biologica e, a volte, anche in modo talmente incisivo da modificare e accelerare le nostre stesse funzioni biologiche, facendoci avvicinare prematuramente ad una prospettiva di “fine della nostra vita organica”.
Ed ecco ora a voi il mio pensiero di “Ode alla Vita”. Il Dottor John E. Upledger ci dice che: –“La cranio Sacrale Therapy è sia una forma artistica altamente intuitiva, sia una modalità altamente scientifica.” –
La mia definizione prediletta sull’arte è quella in cui si descrive ogni gesto consapevole della vita come una forma d’arte. Quindi, la consapevolezza, anche di un solo istante della nostra vita (dall’intuizione all’esperienza), diventa: arte.
Questo pensiero può aiutarci ad affrontare, come Facilitatori, un compito così delicato come l’accompagnamento alla morte e al morire: nel nostro essere presenti, come ci è stato insegnato nella Tecnica Cranio-Sacrale, attraverso l’ascolto vigile e consapevole rivolto alla persona che sta vivendo questa esperienza e, soprattutto, nella gratitudine di poterlo assistere e supportare.
Ma prima ancora, nel contemplare i temi di separazione e perdita e, citando ancora una volta quanto ha detto il Dott. Upledger, dovremo ricordarci di aver appreso che: – “Il corpo è in una disfunzione organizzata; noi compiremo la disgregazione e gli chiederemo di riorganizzarsi” -.
Infatti, portando alla nostra consapevolezza le varie ragioni che hanno causato, e che causano, una frustrazione al nostro processo biologico, potremo andare a valutare ciò che inibisce il nostro benessere e, alla luce di questa consapevolezza, potremo lavorare sui processi distruttivi, per modificarli e trasformarli in elementi utili ai processi costruttivi per la nostra vita.
Così facendo potremo mettere in atto quello che, sia le tecniche, sia la visionaria genialità del Dott. Upledger, ci permettono di realizzare: rendere la nostra vita “un tocco migliore” e portare questo tocco anche a chi entrerà in contatto con noi per accompagnarci in una fase della nostra vita, o per chiederci aiuto, o a chi nel nostro percorso ci è sempre stato vicino e a cui forse noi saremo vicini, anche in situazioni di inevitabile trasformazione finale del ciclo vitale.
Diego Maggio
Il corso è stato progettato per avvicinarsi ad aspetti quali la definizione di morte e transizione, dal punto di vista e del terapeuta e del paziente e si sviluppa attraverso un laboratorio pratico nel quale il discente apprenderà le tecniche manuali per essere di aiuto sia agli ammalati terminali che a coloro che stanno soffrendo a causa di una perdita in quelle che vengono definite “piccole morti” quali: divorzio, perdita del lavoro, perdita di una persona cara, ecc.
Per questo si rende necessaria una formazione specifica sull’argomento e riteniamo utile riflettere sull’ azione gesto di cura e la condivisione delle diverse riflessioni tra i professionisti che operano a stretto contatto con la perdita e la morte. Pensiamo che questo rappresenti un modo per favorire la circolarità delle azioni all’interno dell’equipe, equipe che comprende anche lo stesso malato e i suoi care–giver.
L’esigenza di collocare il gesto professionale accogliente e terapeutico nel panorama delle proprie competenze è molto sentita dai professionisti sanitari. Se il senso del tatto è essenziale per l’esecuzione di procedure tecniche di alta abilità, non lo è di meno per stabilire un contatto con le persone di cui ci prendiamo cura . Ciò è tanto più vero quanto più il toccare diviene una modalità per acquisire informazioni, e soprattutto quando diventa terapeutico.
Oggi l’operatore sanitario non è più l’emanazione di una gestione medica del tutto soggettiva di un corpo-oggetto, ma un soggetto che al pari con l’altro, la persona malata, dà origine al dialogo che porterà all’alleanza terapeutica all’interno di una relazione d’equipe.
Da queste convinzioni parte il nostro desiderio di partecipare alla condivisione di una conoscenza che porterà ad un miglioramento delle nostre competenze di operatori della salute. Ma toccare è solo il veicolo: in ultima analisi, è la consapevolezza che guarisce. Se il gesto esprime consapevolezza, il contatto fisico avrà effetti trasformativi. (Frank Ostaseski)
Il “contatto” aptonomico infatti, offrendo una conferma affettiva al soggetto, gli consente di acquisire una “sicurezza di base” che mette in moto una serie di fenomeni psico-fisici positivi e può modificare anche la capacità di rispondere alle malattie ed, alla fine, di “vivere” il tempo del morire. Il termine aptonomia deriva dalla congiunzione di due parole greche “hapsis”, che significa “il tocco, il tatto” “stabilire un contatto” e nomos che significa “regola”.
Parlando della valenza del gesto di cura bisogna porsi una riflessione sui due fenomeni che lo compongono: gesto e azione. Entrambi implicano un contatto ma mentre il primo ha una caratteristica comunicativa, il secondo ha come principale caratteristica l’essere composto da movimenti che formano una prassi. Gli operatori che lo mettono in atto sembrano avere due precise necessità:
Al razionale operativo all’interno del percorso CST ci appelliamo per la scelta di quel gesto che sia efficace, descrivibile, ripetibile, trasmissibile, registrabile, la qual cosa non è solo un’esigenza scientifica, ma si basa sull’etica di dare alla persona il miglior intervento possibile. Alle caratteristiche qualitative del contatto sono invece legate le istanze personali, individuali. La possibilità di trovare la modalità giusta è maggiore con la gamma più ampia di conoscenze legate alla professionalità e alla motivazione degli operatori.
Il corso è stato progettato per avvicinare gli operatori sanitari ad aspetti quali la definizione di morte e transizione, dal punto di vista e del terapeuta e del paziente; si sviluppa attraverso un laboratorio pratico nel quale il terapista apprenderà le tecniche manuali per essere di aiuto sia agli ammalati terminali che a coloro che stanno soffrendo a causa di una perdita in quelle che vengono definite “piccole morti” quali: divorzio, perdita del lavoro, perdita di una persona cara, ecc. Ci si propone quindi di approfondire le tecniche di massaggio leggero della CST rimarcando l’importanza degli approcci multidisciplinari per il progresso dell’alleanza terapeutica all’interno di una relazione d’equipe sviluppando il concetto che queste possono :
La trasmissione della conoscenza è organizzata in modo che i partecipanti possano acquisire le nozioni teoriche e pratiche che consentono la presa in carico dell’utente o del paziente, ponendo ogni operatore o terapista in condizione di costruire l’azione d’intervento.
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